Ufficio complicazione affari semplici

Pubblicato il 16-07-2023

di Mauro Tabasso

Le vie del Signore sono infinite, siamo d’accordo. È sulla segnaletica avrei molto da ridire. A volte mi sento perso, smarrito, come un cane da tartufi con la sinusite e il naso chiuso, come un GPS con l’antenna rotta, come un computer che mi chiede se sono un umano (forse il poveretto sta solo cercando la sua famiglia…). Da che parte devo andare per andare dove voglio andare? E se non so dove voglio andare come faccio a sapere che direzione prendere?

Ci sono questioni nella vita che sembrano progettate apposta per complicarla, come la rotonda di corso Vigevano angolo corso Principe Oddone a Torino. Dietro o c’è una mente diabolica oppure un demente. Provate e mi darete ragione. C’è gente che dopo ore e vari azzardati tentativi riesce a entrarci dentro e poi continua a girare sulla giostra per giorni prima di riuscire a imboccare un’uscita, e quando la imbocca al caro prezzo di inelencabili e irripetibili oltraggi verbali e gestuali, si accorge che è l’uscita sbagliata, ed è costretto a raggiungere la rotonda successiva per compiere una disperata inversione a “u”. Quando torna sulla sua strada non sa più dove stava andando né perché. L’UCAS (il celebre Ufficio Complicazione Affari Semplici, dipartimento presente in tutte le aziende, in tutte le organizzazioni, in tutte le famiglie, e perfino in tutte le teste, di cavolo e non) è probabilmente l’ente più fornito di risorse e con il budget più cospicuo. Siamo divenuti esseri così complessi che perfino i computer ci chiedono se siamo davvero umani. Ci siamo persuasi che la semplicità non è più di questo mondo, se mai lo è stata, e ciò mi rattrista profondamente, perché la vita è bella, anche se è complicata (figurati se fosse semplice!). Anche la musica si è complicata.

Giorni fa sono andato a sentire un concerto, non lo facevo da anni, ma il personaggio (un grande chitarrista australiano) non è mai stato prima in Italia, ha già una certa età e per di più veniva proprio a Torino. Non lo potevo perdere. Ebbene, raramente ho speso meglio i miei soldi. Quest’uomo è salito sul palco, ha suonato per oltre due ore da solo, con una camicia e un paio di jeans, una chitarrina piena di righe e bolli vari (spesso la percuote), un misero cavo “jack”, nessun effetto speciale o altro. Musica e basta. Tanta e che musica! Non si è denudato, non si è cambiato d’abito, non si è truccato, non ha esibito tatuaggi, non aveva effetti speciali, non aveva scenografia. Insomma musica senza fronzoli, senza complicazioni, senza “cinema”.

Ho apprezzato oltremodo questo infinito musicista, non solo per l’arte, ma per la semplicità e l’essenzialità con cui la proponeva. Per me questa è la musica, quella che con tanta semplicità arriva dritto al cuore senza passare da altre strade. La semplicità che non è banalità, ma è un punto di arrivo, il culmine di un percorso di ricerca e consapevolezza umana e artistica. Praticamente la “summa” di tutto ciò che manca a colui che ha progettato quel cavolo di rotonda. E manca un po’ anche a me quando mi complico la vita da solo. Semplicità e felicità possono andare a braccetto. E metter giù la segnaletica mi sa che è compito mio.


Mauro Tabasso
NP aprile 2023

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